UNA STORIA QUASI VERA
Accadde un giorno, ma non fu un solo giorno
Non vi dirò della città, né l'anno in cui la storia si svolse. Collocatela quando e nel luogo che più vi piace, visto che di storie così ne sono avvenute tante, qua e là sparse in tutto il Paese, sebbene esse siano state avvolte tutte nell'assoluto silenzio dei protagonisti. Vi dirò solo, per orientarvi un po', che non ancora era esplosa la calda stagione di Tangentopoli.
Ed ora, eccovi la storia.
Il sonno di quella notte fu davvero agitato e quando, al mattino, si guardò allo specchio, Luigi Festo s'accorse di ritrovarsi più vecchio, con alcune rughe che per la priva volta gli contornavano la base degli occhi. Ma non tanto per quello che l'attendeva al calar della sera, quanto perché non aveva ancora deciso se presentarsi o meno davanti a quella sorta di giurì, che avevano deciso di costituire apposta per lui.
Riflettendosi nello specchio, egli s'interrogava sul che fare, e mentre ancora non si decideva - anzi si decideva, ma subito dava disdetta alla decisione già presa, e tutto questo per un'infinità di volte - gli passavano nella mente strani ricordi del suo passato, quando ancora coi pantaloni corti fu gettato nel cerchio dell'agone politico e subito divise il mondo in bianco e nero, di qua i "nostri", di là tutti gli "avversari".
Eppure, nella sicurezza di quest'ordine un po' manicheo, egli trovò una dirittura che mai l'avrebbe lasciato nella vita, anche se ora stava rappresentando la sua rovina.
Si chiese, tagliandosi con la lama dietro l'orecchio e inondandosi di sangue fino al collo, se aveva sbagliato ad abbandonare la riunione del direttivo e se sarebbe stato meglio non aver scritto quella lettera così dura; ma la sua irruenza, associatasi per una volta ancora alla sua testardaggine, gli aveva consigliato, anche in quella occasione, la scelta più estrema. Per quanto adesso, nonostante la gravosa ambascia, al pensiero di quanto aveva fatto, il suo petto si riempiva d'orgoglio.
"Sta per soffiare il vento dell'Est", egli si diceva, con gli occhi che riflettendosi nello specchio sembravano uscirgli dalle orbite, "fra poco tutto cambierà, anche per il mio partito".
Lo spruzzo del dopobarba, dandogli maggiore freschezza, sembrò alleviare il suo spirito ed allora pensò che non poteva sottrarsi al giudizio del giurì e, soprattutto, non poteva deludere il suo amico Adolfo, a cui egli aveva sempre rivolto stima e tutto il suo affetto, lungo il tempo che quello se l'era visto crescere giorno dopo giorno sotto gli occhi, guardandolo sempre con bonaria simpatia, mentr'egli era indaffarato a trangugiare enormi pezzi di focaccia, nelle passeggiate serali.
Era stato, infatti, il suo amico che aveva chiesto e, con una netta presa di posizione, era riuscito infine ad ottenere, non senza mugugni, quell'incontro chiarificatore, mentre per il segretario della sezione non c'era nulla da chiarire e si poteva, senz'altra attesa, decidere l'espulsione di Luigi dal Partito. Egli aveva già fatto troppi colpi di testa, ed ora ne aveva combinata un'altra delle sue. Perciò era meglio perderlo che ancora ritrovarselo tra i piedi!
Adolfo aveva capito che più del giurì non poteva chiedere, tirava una brutta aria verso Luigi, soprattutto dopo le decisioni del congresso appena concluso, nel quale erano state proprio le promesse allettanti, sparse tutt'intorno a piene mani, ad aver determinato l'elezione del nuovo segretario. Ed ora le promesse andavano mantenute. Se vai in piazza a mostrare le mani ricolme di granone ai colombi, tutti i colombi ti vengono dietro, e così avvenne per il segretario, che fu da tutti appoggiato, anche se, saggiamente, egli preferì rinviare a dopo il congresso la impegnativa spartizione del mangime.
Luigi aveva patito un vero e proprio assalto prima del congresso, perché si era opposto fin quando aveva potuto a quelle assunzioni; anche se, il motivo della sua opposizione non era stato certamente il fatto che, come dicevano in sezione, egli aveva la pancia piena e s'infischiava dei compagni. Non riuscì, tuttavia, a capire come, nonostante critiche e pressioni, egli fosse ugualmente riuscito ad essere eletto nel direttivo, mentre vennero fatti fuori tutti gli altri giovani dirigenti, costretti a far posto a solidi compagni che conoscevano bene le leggi non scritte della politica.
Luigi, infine, decise di presentarsi.
Era convinto che l'abbandono della riunione ed una lettera per spiegare le proprie ragioni non potevano essere sufficienti a provocare il suo allontanamento dal partito nel quale aveva mosso i primi passi, coltivato passioni ed imparato dai compagni più anziani ad esercitare "la critica e l'autocritica", anche se poi doveva col tempo capire che sempre era gradita l'autocritica, molto meno la critica, per evitare, si diceva, di "buttare via con l'acqua sporca anche il bambino".
Ma non gli vennero subito tali riflessioni nella mente. Queste le pensò dopo l'imminente riunione. Adesso, invece, arrivato vicino alla sezione del partito, insieme ai palpiti, avvertì una grande fiducia in quello che stava per succedere e confidò soprattutto nell'affetto che il Partito gli aveva già mostrato nel passato, pur senza gradire molto la sua vena critica.
La sicurezza maggiore gliela dava però il suo amico. La presenza di Adolfo gli era del massimo auspicio. Si sentiva forte e determinato a spiegare le sue ragioni al Partito, che avrebbe compreso ed accettato il suo brusco intervento come contributo critico alla dialettica interna. Interna e non esterna. Del resto, la segretezza delle posizioni critiche era la regola e tale regola era stata rispettata.
Luigi entrò nella sezione e quella sera non c'era neanche un compagno, tutti rinchiusi in una stanza a giocare a carte, come segnale che l'aria si era fatta pesante. Egli si bloccò davanti alla porta del direttivo e sembrò non farcela a procedere. Quando si decise finalmente ad aprire quella porta, la stanza si mostrò gelida, come mai lo era stata, e a rendere l'aria ancora più fredda c'era stata la decisione silenziosa di non fumare. Un po' di fumo avrebbe forse dato più calore all'ambiente e diversa umanità a quanto stava per succedere, magari consentendo agli interlocutori di nascondere, almeno in parte, il pallore o la propria agitazione, i reconditi pensieri e la cedevole intimità. Invece nulla, tutto in modo terribilmente asettico fu tenuta quella sera la stanza del direttivo. Luigi avrebbe, perfino, voluto sentire l'olezzo che di solito veniva dal vicino pisciatoio, dove i vecchi ripetutamente si recavano a "cambiare l'acqua alle olive".
Invece niente, nemmeno la piscia dei vecchi si fece sentire, in quella gelida sera. E neanche vi erano le sedie disordinate di tutte le altre riunioni; c'erano solo, dietro al tavolo, le tre sedie del giurì e l'altra, di fronte, lasciata sgombra per l'imputato.
Adolfo si accorse della situazione di forte imbarazzo che stava vivendo il suo compagno e gli lanciò un corto sorriso, ma Luigi lo percepì piuttosto come un cenno di avvertita debolezza ed umana commiserazione; anche perché, di fianco ad Adolfo, il segretario ed il sindaco, entrambi con il collo proteso in avanti, sembravano due mastini pronti ad azzannare. O forse no, non il segretario, che aveva il collo più lungo e flessuoso del suo compagno ed anche uno stretto sorriso. Egli, in realtà, lasciando qua e là scivolare fuori la lingua, sembrava piuttosto una livida serpe pronta a colpire.
Il sindaco disse a Luigi di sedere, facendo molta attenzione a non farsi sfuggire dalla bocca alcun sorriso distensivo. Quando cominciò a parlare il tono sembrò paterno, ma il discorso che seguì lo fu certamente meno.
- Tu hai scritto una lettera piena di accuse al nostro gruppo dirigente. Io spero tu ti renda conto della gravità di ciò che hai fatto.
- Ho solo detto quello che pensavo.
Il segretario sorrise, come solo lui sapeva sorridere, mettendo fuori gli aguzzi canini, che il povero Luigi vide più acuminati di come effettivamente fossero, capaci in ogni caso d'iniettare veleno.
Il sindaco, soffocando sul nascere la voglia d'intervento del primo dirigente della sezione, ancora si mostrò paterno, ma senza nulla concedere all'imputato seduto di fronte che, contrariamente al suo stile, stava cominciando a sentirsi piccolo e molle come un verme.
Il sindaco disse.
- Tu lo sai che hai violato la legge basilare delle democrazia? La decisione è stata presa con una libera votazione e spetta a tutti noi sottometterci a quello che la maggioranza decide...
Luigi accennò ad una difesa.
- Io non ho partecipato a nessuna votazione...
Allora il segretario finalmente si sentì autorizzato a dire la sua, e quello che gli uscì di bocca, più che parole, parevano vomiti di rabbia e schizzi di veleno.
- Quelli come te, con questa voglia di fare del moralismo, sulla pelle dei compagni, hanno già determinato nel passato grossi guasti, comprese assunzioni non assoggettate a verifica. Per colpa di quelli come te, abbiamo permesso nel passato l'assunzione di molte donne, spinte al lavoro solo dalla voglia di comprarsi la pelliccia. Qui ci sono compagni che non possono mettere la pentola sul fuoco e non ci poniamo, perciò, problemi di lana caprina; e poi, il fatto che tu ti sia astenuto dal voto non ha nessuna rilevanza democratica. Ti sei astenuto, fa parte del gioco, non hai votato a favore, non hai votato contro, ti sei astenuto dal votare. E' tutto normale, è tutto previsto... sono le leggi della democrazia.
Finalmente Luigi, con i suoi strali rilucenti, e col solito piglio da tribuno, riuscì a parlare.
Anzi, quasi strillò.
- No! Io non mi sono semplicemente astenuto, nel vostro perfido gioco delle assunzioni e delle promozioni. Avete gestito un intero congresso con queste promesse, governate la città come se nulla fosse cambiato, come se il problema fosse di difendere, comunque sia, la propria bottega ed il potere personale. E' questo gioco che porta alla formazione di viscide clientele. Io non ho partecipato al voto perché sulle questioni morali, su concorsi truccati ed indebiti favori, non c'è da votare. Io non ho inteso indifferentemente scegliere negozio e clienti, sto qui dentro perché sono convinto che insieme possiamo cambiare il vecchio sistema dei partiti...
Il segretario di sezione era davvero disgustato e manifestò tutto il suo disdegno tirando all'indietro il capo, ma lasciando ferma al suo posto la mandibola prominente. Era sul punto di sputare in faccia a Luigi tutta l'avversione che stava riempiendo la sua sacca di bile, di fronte ad uno sprovveduto così inerme, così incapace di capire le ragioni semplici della politica. Era impossibile che a un simile compagno potesse ancora essere consentito di parlare. Ma intervenne prima di lui il sindaco, con il ciuffetto che gli cascava a pettine sopra la fronte. Se lo lisciò due volte, quel ciuffo biondo, prima di prendere fiato e dirgli tutto quello che in tal momento sentiva di essere autorizzato a dire, a nome del Partito e a nome dei compagni che dal Partito s'aspettavano il riscatto da una vita infelice e greve, per conquistarsi, se non il socialismo, almeno un posto di lavoro e portare un tozzo di pane alla propria famiglia...
Adolfo cercò d'intervenire, vedendo il suo protetto nella massima difficoltà, ma fece appena cenno con la mano per fermarlo e dire lui stesso qualcosa, quando Luigi lo anticipò sul tempo e partì come una furia.
- Ma io non voglio togliere il pane a nessuno... Ho imparato, proprio dal nostro partito, e prima ancora nella mia famiglia, che le persone, tutte le persone, hanno diritto a lavorare e portare a casa il pane, ma a prescindere dalla tessera che hanno in tasca ed anche se non ne abbiano alcuna...
Lo interruppe il sindaco.
- No, no, non ci siamo proprio compagno, non so più neanche se ti debbo chiamare così, perché tu manchi di solidarietà di classe...
- Lasciamo perdere la solidarietà di classe, ch'è un'altra cosa... E, visto che siamo giunti a questo, io vi dico che voi prendete delle persone libere e ne fate dei questuanti, gli strappate l'anima, rubate la loro dignità. Quanti di questi compagni che, per quanto bisognosi, hanno diritto alla fierezza di uomini, quanti non hanno più il coraggio di guardare in faccia i propri figli, per un posto di lavoro ottenuto in cambio della rinuncia alla personale libertà? Li usate in campagna elettorale, ne fate degli attacchini, degli schiavi, dei soggetti senza scrupoli. Su questa vergogna, su questo schifo, voi continuate a mantenere in piedi uno squallido gioco che chiamate solidarietà, su di esso si fonda il vostro potere. Ed io vi dico che su questa, come sulle altre questioni che riguardano la coscienza, non c'è voto che tenga, non c'è mano sollevata che possa alleviare la pena di un atto ingiusto....
Adolfo avrebbe voluto fermarlo, avrebbe voluto calmarlo, con il suo labbro inferiore sporgente in uno stretto sorriso di persona per bene, come ce n'erano ancora nel Partito. Ma non fece in tempo a fermarlo. Quando egli rimase a guardare gli altri due, contenti di come fossero andate le cose e, soprattutto, di essersi finalmente liberati di Luigi, un sognatore senza realismo, Adolfo non poté fare altro che ingoiare una volta ed una volta ancora il suo pomo sporgente per il dolore.
Intanto, Luigi era già lontano dalla sezione, nella quale era entrato con i peli ispidi dell'adolescente e l'entusiasmo ancora imberbe dei bambini. Ne usciva, ora, con lo sguardo fisso in fondo alla strada, dove un tempo arrivava sfiatando il trenino che tagliava in due la città ed ora, nello stesso spacco di cielo, luccicavano, un po' bagnate di lacrime, le stelle di vecchi sogni di giovinezza ed il ricordo mesto di una bandiera rossa sventolante.